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Diez textos de La casa que me habita, de Wilfredo Carrizales, traducidos al italiano

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“La casa que me habita”, de Wilfredo Carrizales
Portada de La casa que me habita, de Wilfredo Carrizales, en su edición digital, que obtuvo en 2006 el Premio Nacional del Libro de Venezuela.

La casa che mi abita

Wilfredo Carrizales

(Per Ayarì)

I

La casa apre il suo muro esterno: definito varco per il passaggio della grazia e lo sguardo attento di una donna dal nome di risonanze native.

Felci si arrampicano sulla chioma della femminile convitata e la notturna brezza viene incontro a lei per alleggerire ancor di più il suo incedere ed innalzarla nel suo spazio che l’attende con ansia.

Pareti interne spiegano un portento di luci, candelabri e maschere. Il lontano Oriente accorcia le distanze galleggiando negli strumenti musicali di materie primordiali. Restringimento di corpi ferma l’avanzare della notte e mille baci si posano nell’addensarsi di eros, del suo arcano.

Intimano la casa e la donna,su tappeto di antichi racconti le vengono portati placidi sogni. Il suo fine profilo di femmina che appena geme diviene a poco a poco luna crescente, la luce è cosi intensa che la casa si è messa a girare.

 

IV

Fiori di zagara definiscono l’inizio della casa, la sua importanza e’ ridondanza al di là del semplice spazio limitato dal vento e dai ciottoli sul terreno.

In piena fioritura la casa esplode e la sua linfa terriccio si svela nelle tegole di imprescindibile copertura, colonne di monacale pazienza e preghiere per accostare i legni.

In altri tempi la casa si muoveva seguendo circoli tracciati dal ridente grillo dell’ alba.

Giochiamo —dicevamo allora — ad inventare l’importanza dei cespugli ignari della propria precocità. Giudichiamo — affermavamo un tempo — la magnificenza degli aromi, e nei frutteti raccogliamo le aurore nella sommità dei nostri aquiloni.

 

V

Rumori di piedi scalzi nell’uscio delle porte. La terra incita la polvere a profanare la desueta tenerezza del pavimento segmentato. Rumori anche di piedi che in tempi migliori, una volta sono stati ben calzati. Ricordi a testa in giù, trecce dondolanti, mossi dalla brezza quando penetra in silenzio dalle finestre aperte verso misteri maggiori.

Di forma permanente, le spesse mura perseguitano il biancore dove riflettono eventi remoti, per la gioia dei miei occhi che tutto si aspettano.

I sogni non possono partire quando vogliono. E’ bene allora mostrare un potere capace di nascondersi in ogni angolo, tuttavia i messaggi che con perseveranza la casa esala devono essere portati a buon fine.

(Un gallo arriva in casa, mattinate coccodè contemplano le bianche uova che scivolano gioiose sul fogliame).

 

VIII

La pienezza della casa non si arresta. Essa intuisce la vicinanza della gran porta rivolta verso il giro lucido del segnavento.

Sotto l’intreccio delle travi, scorre la vita quotidiana contemplando la luce zenitale, alta nella sua persistenza. Tuttavia la limpidezza è soltanto concessa a coloro che si azzardano a varcare gli usci interrogativi del palazzo.

Con ossa e calcio le pareti innalzano l’impeto che li porterà allo stesso livello delle frondi dove la luna si trattiene.

 

XI

Spiega la notte la donna, con la sua lunga e nera chioma, dalle sue dita verso il minuscolo cielo della casa spicca un gingillo di stelle. Il pavimento si sente esaltato dal sublime luccichio, compare uno specchio rivelatore ad espandere i baci scelti da noi amanti.

Lo spazio dove la casa riposa si tinge di sensuale, musica è la sua essenza ed il suo desiderio teneramente contenuto.

La donna esprime e afferma il fascino sentito. Io gongolante, nel lasciarmi cadere tra i suoi occhi e sorseggiare la pelle del suo respiro. Nel frattempo la casa non ha smesso di creare strumenti di brezze, d’ombre e d’ innegabile gaiezza.

A chiudere la notte sveglia, la casa mi ordina scrivere sulla vita della donna, di solida fermezza, versi uomini di verso con la mia barba sensuale e ricca.

 

XIII

Eccomi qui nella casa che mi esalta in biancore e che pienamente mi ossequia queste mie mani da bambino. Da un passato vicino, posso irradiare carezze verso seni d’infante scoperti nell’orizzontalità amorosa della notte e del ticchettio.

L’orologio unisce uno zero superiore ad uno inferiore inventando l’ottava ora spalancando la porta principale, facendo entrare Ayarí spogliata di luna e della veste di Selene nel massimo biancore.

La casa aumenta il luccichio di calce e gesso, porge un caldo ambiente per due anime vicendevolmente attratte.

Il giorno copula con la notte, tutti e due mascherati da gatti. Scivolano compiaciuti su grappoli d’uva oscura e chiara, sbucano miagolii nel tragitto verso la macerazione del vino.

Ayarí beve il vino del gatto nero e bacia la barba del suo poeta, mentre la notte acconsente e non va via.

Ayarí sorseggia il vino del gatto bianco ed il poeta posa le sue labbra sotto il suo ombelico, mentre l’alba dispone splendidi abbracci.

 

XIX

Ascolto il palpitare della casa nella sua linfa che si sposta da un muro all’altro, nell’impetuosa onda della forza protettrice.

Si denomina casa (haus, maison, house...) dall’essere ricolmo della sua misteriosa coesione e dalla capacità d’accoglierci nel ventre vuoto per riempirci e convertirci in repliche umane di se stessa.

Abito nella mia casa interiore, sono ospite e signore di muscoli adatti alla tenerezza e nervi tesi al richiamo della porta.

Anfitrione nel corpo-casa ospito la donna che pur essendo regionale cresce universale e accresce le alcove del buon gusto e del buon sentire.

Vasta, tanto vasta si alza la casa dietro le mura inflessibili e accorte all’equità. Scivolo per il cortile, nudo e sobrio, segnale di conoscenza e faccio finta di misurare la mole dell’espansione. In realtà, anch’io ci sto in me stesso, questo vuol dire casa ovvero tegola con fiore per ripararsi o coperta d’amatorio e quiete.

La casa mi nobilita quando si auto denomina in vocabolo ayarí e posso entrare attraverso le sue palpitanti porte ed emergere lungo le sue finestre per fortificare la sua struttura con glutine umido, squisitamente maschile.

 

XXV

Stanotte ho liberato indomabili versi. Giugno si voltò per ricordare che il cielo sotto il tempo non era mutato. Un tintinnio di voci svegliò la casa, ed essa consultò il suo orologio per accertarsi che i grani di sabbia fossero gli stessi.

Ormeggiata al di là delle finestre, la nave della notte. Portava nella sua stiva la fedele promessa dei prossimi mesi, fiori, uve fresche per succhiare i suoi furori.

Si riempí il polmone bisestile della fragranza innalzata dal sandalo nella sua celebrazione.

Tutti i giorni della settimana si auto nominano sabato ed allora Ayarí si reca alla casa delle sette porte affinché il poeta organizzi un appassionato periplo con l’espressa costanza che scoprirà l’amore notturno intrecciato alle lenzuola.

La casa e’ venuta a conoscenza dell’incantesimo di Ayarí, un’areola di cioccolato arricchito ha contorniato i suoi capezzoli.

 

XXX

Parla il poeta, la casa asseconda.

Ayarí è un giovane fior di esuberante cospetto. Il suo tenero fragore prende quel che vuole dal tempo e loda. A lei segue un cumulo di promesse e quel che è perentorio chissà abbia un forse.

Anche Ayarí sale sul mondo perché a lei piace girare secondo il tempo delle sfere. Se ad un tratto venisse giù la pioggia, senza dubbio, un sorriso espanderebbe il suo orizzonte d’ acque in piena quiete.

La casa possiede le sue musiche per arricchire i suo abitanti. Ayarí lo sà, la casa la penetra. Il poeta si apre verso Ayarí dichiarandosi stagno, pozzo, orcio pieno per essere bevuto. Inzuppa Ayarí le sue labbra ed un alito di vento del solarium la trascina fino in fondo. Quando infuria la profondità ed imprigiona la sete, il poeta chiama dal suo petto bambino ed Ayarí gli porge il suo latte o il suo miele nella sua ciotola cittadina ed i suo capezzoli osannano comprensione.

La casa spiega il suo primato, l’anfitriona si attarda, allora essa fa degli amanti ospiti affinché consumino il carnale frastuono.

 

XXXV

So cosa cerco dal limite del corpo di Ayarí. So cosa diventa la sua pelle nel teatro senz’ombre della notte. Conosco la corrente veloce che fluisce dai suoi seni e sento il suo battere d’ali da bambina nell’alba quieta.

La casa ci ha donato uno specchio nel quale si riflette l’acqua irrequieta, infiammata dalle nostre esistenze. Dentro lo specchio l’azzurro tace per narrare in silenzio gli eventi.

Dal tavolo escono fiori diventati rami per la grata compagnia. Ayarí, metamorfosi delle sue guance in petali, calma come fine grana dalla sua elevazione.

Posso morire con il mio indice percorrendo la colonna di Ayarí e resuscitare in oro definitivamente, lasciando che la notte riveli il luccichio più eloquente sulle sue natiche di musa e nobiltà.